BANCHE E FINANZA: LA CONSULENZA FINANZIARIA: QUALI POSSIBILI MODIFICHE ALLA MIFID II?
2 luglio 2020
La tematica delle regole di condotte nella consulenza
finanziaria è oggi disciplinata dalla seconda Direttiva Market in Financial Instruments 2014/65/UE
(c.d. MiFID II) e dal relativo
Regolamento 2014/600/UE (cd. MiFIR).
Questi provvedimenti hanno introdotto adempimenti più stringenti
in capo agli intermediari, volti innanzitutto a favorire una maggiore
responsabilizzazione degli organi societari e dei vertici delle strutture
aziendali durante l’intero ciclo di vita del prodotto finanziario (dalla fase
della ideazione e realizzazione dei prodotti finanziari fino a quella post-vendita).
Tuttavia l’impostazione di fondo della prima Direttiva MiFID è rimasta
sostanzialmente invariata, prevedendo da un lato la verifica dell’adeguatezza
del prodotto finanziario richiesto o consigliato al cliente (attraverso
l’acquisizione di informazioni in merito alla conoscenza ed esperienza del
cliente in materia di investimenti finanziari, alla sua situazione finanziaria
e ai suoi obiettivi di investimento), e dall’altro rilevanti oneri di disclosure informativa nei confronti
dell’investitore, in fase pre e post contrattuale.
Quel che invece sembra mancare
al nuovo impianto normativo sono misure tese a garantire la qualità e
imparzialità dell’attività di consulenza in sé. La predisposizione di
questionari standardizzati volti alla corretta profilatura della clientela,
come anche di prospetti informativi del prodotto finanziario negoziato redatti
in termini più o meno Consumer-friendly
- pur essendo misura in sé positive - si limitano infatti ad agire solo sulla trasparenza dell’attività di
consulenza, la quale però può non essere sufficiente per tutelare il
consumatore medio.
Una delle proposte più
interessanti di modifica della MiFID II sotto questo profilo è di introdurre un
divieto generalizzato per intermediari e consulenti di percepire commissioni
sulle vendite dei prodotti collocati presso il pubblico degli investitori, in
quanto esse intuibilmente rischiano di incentivare i consulenti a raccomandare
non già i prodotti più adeguati in base al profilo di rischio del cliente, ma
piuttosto quelli capaci di generare il più alto livello di commissioni in
favore del consulente.
E’ stato osservato come
recentemente, a seguito dei numerosi e ripetuti episodi di mis-selling di prodotti finanziari in tutta Europa, alcuni Stati Membri abbiano finalmente
optato per un divieto integrale per i consulenti finanziari di ricevere
pagamenti da terze parti. In particolare questa strada è stata perseguita con ottimi
risultati da Regno Unito e Olanda.
Sul punto MiFID II ha delineato
una disciplina a maglie larghe, fondata sull’assunto per cui gli effetti
distorsivi delle commissioni sarebbero pienamente riequilibrati dalla sola
trasparenza delle stesse nei confronti del cliente. In questa logica, la disclosure delle commissioni dovrebbe da
un lato scoraggiare i consulenti dal raccomandare prodotti legati a un livello
di commissioni manifestamente esagerato, e dall’altro dovrebbe indurre il
consumatore ad optare per una consulenza meno onerosa. Conclusioni che però risultano
smentite dall’esperienza degli investitori, che rivela piuttosto come la trasparenza e gli obblighi di disclosure non abbiano sinora avuto alcun
impatto diretto sul conflitto di interessi generato dalle commissioni.
Tra le altre novità proposte
nell’ambito del processo di revisione di MiFID II si possono inoltre annoverare
da un lato quella relativa all’introduzione
di un database europeo per
permettere alla clientela retail di
poter autonomamente confrontare le condizioni di negoziazione dei diversi
prodotti di investimento sul mercato, che dovrebbe essere istituito presso
l’ESMA a determinate condizioni (tra cui l’obbligo per gli operatori di mercato
di fornire gratuitamente dati di negoziazione con il sistema e di contribuire
al finanziamento del sistema), e dall’altro quella relativa all’introduzione
di una nuova categoria di profilazione della clientela. Come noto, MiFID e
MiFID II hanno delineato un insieme di regole di condotta e oneri di
trasparenza in capo all’intermediario graduato sulla base delle conoscenze
finanziarie rinvenute in capo alla clientela, strutturato in 3 categorie (investitori
professionali, controparti qualificate e investitori non professionali) cui corrispondono
obblighi di informazione. La classificazione in una delle tre categorie
in ogni caso non pregiudica il diritto del soggetto di chiedere, in via
generale o per ogni singola negoziazione di essere trattato come un soggetto
appartenente a diversa categoria (c.d. classificazione dinamica).
Sono pertanto possibili sia passaggi di categoria che comportano un aumento del
livello di tutela (c.d. downgrading), sia variazioni che
riducono il livello di informativa e di tutela (c.d. upgrading).
La nuova categoria riguarderebbe i cd. “investitori semi-professionali”, da assoggettare ad un regime di regole di condotta più attenuato. Benché ancora incerti e indefiniti risultino i criteri da utilizzare per definire un cliente “semi-professionale”, non possono non considerarsi i rischi nell’introduzione di una ulteriore categoria soggetta a una disciplina informativa più rilassata, tenuto anche conto del fatto che (come si è già avuto modo di rilevare) l’attuale classificazione sia di tipo dinamico e permetta dunque già di suo, a determinate condizioni, la possibilità per l’investitore di richiedere di accedere a una categoria più alta o più bassa, rinunciando al suo status corrente e alle relative tutele.
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