L'ITALIA UN PAESE VECCHIO BASATO SULLA GERONTACRAZIA E IL CLIENTILISMO.
29 aprile 2013
"se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi"
Inutile negarlo. Siamo la nazione che più tra tutte ha contribuito alla cultura e all’evoluzione dell’uomo in termini artistici, culturali e totali. Basta guardarsi intorno. Basta scorrere i nomi dei tanti personaggi storici, artistici e culturali che sono nati o sono passati in Italia. Come direbbe Benigni, "L'Italia è un paese dove è nata prima la cultura e poi la nazione."
A leggere invece i dati pubblicati da Eurostat, l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea, sulla spesa pubblica (nel 2011) dei singoli Stati dell'Eurozona destinata alla cultura e all'istruzione viene profonda tristezza. Un paese che dovrebbe essere se non il primo paese ad investire in cultura quantomeno dovrebbe essere tra i primi mondiali. Un paese che dovrebbe e potrebbe fare della cultura una locomotiva economica e di sviluppo del lavoro.
Ebbene, anche in questo caso, la situazione appare desolante. I dati mostrano come nel nostro Paese gli investimenti rivolti a questi settori siano praticamente nulli. Ancora una volta si evidenzia il fallimento della partitocrazia. Il fallimento di quella partitocrazia che ha ancora radici ed è rappresentata dagli ultimi ministri nominati.
I dati che evidenziano la desolazione assoluta
L'Italia si trova all'ultimo posto in quanto a percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2% della media continentale) e al penultimo, seguita solo dalla Grecia, per quanto riguarda i soldi volti a finanziare l'istruzione (8,5% a fronte del 10,9% di media dell'UE a 27).
Il silenzio generale.
Notizia passata ovviamente in sordina perché, a quanto pare, è molto più importante parlare dei litigi e delle brighe tra i singoli partiti ed esponenti del nostro Governo, che del futuro di noi giovani.
Ci si lamenta che in Parlamento ci siano sempre le stesse facce da 20 anni, si chiede a gran voce un cambiamento, si urla contro una classe dirigente anziana ed inadeguata, ma come si può pretendere di “far largo ai giovani” se non ci si impegna a formarli questi giovani; se non si danno loro le basi per imparare a svolgere determinati compiti e se non si fa assolutamente nulla perché essi abbiano la preparazione adeguata per non fare nuovamente gli errori dei loro padri e dei loro nonni che oggi stanno attaccati agli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama.
Un paese vecchio che non investe in innovazione e crea ostacoli a chi vuole innovare.
Questi dati sono lo specchio di un Paese che non cresce e che, a questo punto, neanche vuole farlo. Perché se una Nazione non fa in modo, attraverso investimenti ed iniziative concrete, di formare coloro che saranno destinati a guidarla in futuro, allora vuol dire che non è interessata al suo futuro.
Si parla tanto di cambiamento, ma per mettere in atto qualsiasi tipo di cambiamento occorre dare delle basi forti, altrimenti, ciò che resta, è la solita retorica politica tanto cara ai nostri rappresentanti e che sta, a poco a poco, facendo deflagrare l'Italia nella recessione.
Il digital divide. Nessuna delle aziende della new economy è nata in italia.
Il digital divide, o divario digitale, è il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale. I motivi di esclusione comprendono diverse variabili: condizioni economiche, livello d'istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di età o di sesso, appartenenza a diversi gruppi etnici, provenienza geografica[2]. Oltre a indicare il divario nell'accesso reale alle tecnologie, la definizione include anche disparità nell'acquisizione di risorse o capacità necessarie a partecipare alla società dell'informazione. Il divario può essere inteso sia rispetto a un singolo paese sia a livello globale.
I dati generali.
Amazon, Facebook, Google, Twitter, ma anche piccole start up sono tutte nate altrove. In Italia non esiste politica programmatica e le aziende non trovano supporto allo sviluppo. Il costo del lavoro, la tassazione ma, soprattutto, infrastrutture tecnologiche. L’Italia non investe nel futuro per mantenere l’oligarchia ancorata al vecchio e ai vecchi.
L’Italia è una gerontocrazia non basata sulla meritocrazia ma esclusivamente sulle lobbies di potere.
I dati disarmanti.
Secondo l'Istituto di Statistica Europeo in Italia è più alta la percentuale di spesa per i servizi pubblici generali (che comprendono gli interessi sul debito pubblico) con il 17,3% a fronte del 13,5% medio dell'Ue a 27 (in Grecia questa voce pesa per il 24,6% su tutta la spesa pubblica). La spesa per protezione sociale (pensioni in primis) nel nostro Paese è invece ancora superiore a quella Ue a 27 con il 41% della spesa pubblica complessiva a fronte del 39,9%.
Nell’articolo “”È certamente il momento, visto i tempi che corrono e i buoni propositi di revisione della spesa. Per contro, lo scetticismo scatta inevitabilmente, considerati i precedenti e dato lo sconforto di quanto si è visto in parlamento. La speranza è però ultima a morire e allora ben vengano contributi come questo di Microsoft.
Lo studio intitolato " CON LE NUOVE TECNOLOGIE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE RISPARMIEREBBE 3 MILIARDI L'ANNO” la nostra associazione di consumatori ha pubblicato uno studio di Microsoft in cui si spiega come l’innovazione possa far risparmiare alla Pubblica Amministrazione circa 3 miliardi l’anno. “La comunicazione digitale al servizio della Spending Review" mostra che, attraverso un'operazione di diffusione delle tecnologie di comunicazione integrata e collaborazione negli enti pubblici in Italia, si potrebbero generare risparmi pari a circa 1.381 euro/anno per dipendente, con un valore assoluto complessivo a livello di Sistema Paese superiore ai 2,9 miliardi di euro all'anno.
Infine bisogna considerare che, l'Italia spende il 3% della sua spesa pubblica per la difesa (in linea con l'Ue a 27) e il 4% per l'ordine pubblico (3,9% la media europea). Per la sanità pubblica il nostro Paese spende leggermente meno della media Ue a 27 (il 14,7% contro il 14,9%).
Le risposte del Miur
Il Ministero dell'Istruzione prova a “difendersi” con una nota, nella quale invita i cittadini a non leggere questi dati in maniera fuorviante (tenendo conto delle peculiarità del nostro Paese quindi), ma affermando l'intenzione di prendere le attuali statistiche come “uno stimolo a invertire la rotta”.
I dati Eurostat, si legge nella stessa nota:
“non sono quindi una novità e devono rappresentare un doveroso stimolo per le istituzioni e la politica ad invertire definitivamente la rotta”.
Per la speranza invece ci viene ancora una volta incontro la cultura, quella cultura evocata, nuovamente, da Roberto Benigni, “"Dante parla della finanza, dell'usura, di quei farabutti che da sempre accompagnano le nostre vite. Egli ci ha mostrato un barlume di speranza, raccontandoci lo spirito umano in tutte le sue sfaccettature. Ha dato un nome a ciò che è visibile e invisibile, ha espresso l'inesprimibile, ha dato materia allo spirito. Con amore e con la scrittura ci ha mostrato gli ordini angelici, il fondo del male e l'altezza del bene. Egli ha preteso di essere creduto, e noi dobbiamo credergli perché quel viaggio lo ha fatto veramente."
(Testo liberamente tratto da un articolo di Vittoria Patanè che si ringrazia)
IN ALLEGATO LA TABELLA "INVESTIMENTI ALLA CULTURA" DEI PAESI EUROPEI
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