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Accertamenti SIAE, LEA e Soundreef: perché palestre e centri sportivi finiscono nel mirino (e cosa rischiano davvero)

22 dicembre 2025

Associazione Consumatori

Accertamenti SIAE, LEA e Soundreef: perché palestre e centri sportivi finiscono nel mirino (e cosa rischiano davvero)

Se gestisci una palestra o un centro sportivo, prima o poi può arrivare: una lettera, una diffida, un verbale di accertamento. Mittente? SIAE, oppure LEA o Soundreef.
Il problema è che spesso questi accertamenti colpiscono strutture in buona fede, che non hanno idea di stare violando qualcosa. E qui iniziano i guai.

Perché le palestre vengono controllate così spesso

La risposta è semplice: musica + pubblico = diritti d’autore.
In palestra la musica non è un sottofondo casuale: accompagna corsi, allenamenti, lezioni di gruppo, spinning, functional, danza. Dal punto di vista delle collecting, è comunicazione al pubblico, quindi a pagamento.

Il punto critico è che non conta se la musica è da Spotify, YouTube, CD o radio: se è diffusa in un luogo aperto al pubblico, scatta l’obbligo.

I problemi più frequenti che emergono negli accertamenti

1. Licenze mancanti o incomplete

Molte palestre:

  • pagano solo SIAE, ma usano repertori gestiti anche da LEA o Soundreef;
  • oppure pensano che basti un abbonamento streaming (spoiler: non basta);
  • o ancora credono che musica “di sottofondo” non conti (conta eccome).

Risultato: richieste di arretrati per anni, più sanzioni.

2. Corsi fitness e playlist “creative”

Zumba, spinning, cross training, danza, pilates dinamico:
qui la musica è parte integrante del servizio, non un accessorio. Gli accertamenti spesso contestano:

  • assenza di licenza specifica per i corsi;
  • uso di playlist non autorizzate;
  • istruttori che portano musica “da casa”.

Tradotto: responsabilità sempre in capo al gestore, non all’istruttore.3. Accertamenti incrociati e sovrapposizioni

Uno degli aspetti più contestati:

  • SIAE chiede il pagamento;
  • LEA o Soundreef avanzano ulteriori pretese;
  • il gestore non capisce chi deve pagare e per cosa.

Il rischio concreto è pagare due volte per la stessa musica, se non si verifica bene il repertorio utilizzato.

4. Richieste retroattive aggressive

Molti verbali non si limitano all’anno in corso:

  • chiedono 3, 5 o più anni di arretrati;
  • applicano tariffe standard, spesso sovrastimate;
  • danno per scontato un uso continuo della musica, anche se non documentato.

E qui gli importi diventano seriamente problematici.

5. Diffide scritte male ma intimidatorie

Capita spesso che le comunicazioni:

  • siano vaghe;
  • non distinguano tra sottofondo e corsi;
  • non specifichino il repertorio effettivamente tutelato.

Ma il tono è sempre lo stesso: paghi o andiamo avanti.
Molti gestori, spaventati, pagano subito. A volte non era dovuto. A volte era negoziabile.

L’errore più grande: affrontare l’accertamento da soli

Il fai-da-te è pericoloso perché:

  • una risposta sbagliata diventa ammissione;
  • un pagamento affrettato chiude ogni possibilità di contestazione;
  • ignorare la richiesta può portare a azioni legali.

Serve capire:

  • che musica viene realmente utilizzata;
  • chi gestisce quel repertorio;
  • se le richieste sono legittime, parziali o eccessive.

Cosa si può fare (davvero)

In molti casi è possibile:

  • ridurre gli importi richiesti;
  • contestare gli arretrati non dimostrati;
  • chiarire la posizione tra SIAE, LEA e Soundreef;
  • mettere in regola la palestra senza farsi dissanguare.

Ma va fatto subito, e con metodo.

 

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Foto di Minh Thái Lê da Pixabay
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