La mia odissea di oggi con Trenitalia: il treno 9406, 90 minuti di ritardo e una coincidenza fantasma
10 dicembre 2025
Non un viaggio. Un percorso interstellare. Non un ritardo ma l'entrata in una nuova dimensione.
Oggi doveva essere un viaggio normale. Un trasferimento
programmato, biglietto fatto, orari studiati in modo da arrivare puntuale a
destinazione. Invece è diventata l’ennesima odissea tutta italiana, con
protagonista il treno 9406, 90 minuti di ritardo e una coincidenza
Padova–Vicenza saltata in pieno. Risultato finale: oltre due ore di ritardo
complessivo sulla tabella di marcia.
In un Paese civile una cosa del genere resterebbe
un’eccezione. In Italia è diventata la normalità, e il messaggio implicito è
chiaro: arrangiati.
Il viaggio semplice che si trasforma in problema
La giornata parte con un’idea chiara: prendere il treno
9406, arrivare in tempo per la coincidenza e proseguire verso Vicenza senza
problemi. Il classico incastro orario che ognuno di noi è costretto a fare
quando si muove in treno: controlli gli orari, scegli la combinazione migliore,
ti organizzi attorno a quella.
Peccato che tutto questo, in Italia, regga solo finché i
treni rispettano – almeno vagamente – gli orari. E oggi non è andata così.
Il treno 9406 accumula, minuto dopo minuto, un ritardo che
prima viene comunicato in modo vago, poi si allunga, poi si “consolida” in una
cifra che da sola basterebbe a rovinarti la giornata: 90 minuti. Un’ora e mezza
buttata così, senza una vera spiegazione concreta, se non i soliti annunci
generici:
“Il treno viaggia con un ritardo di… ci scusiamo per il
disagio”.
Disagio, appunto. Ma qui non è solo disagio: è tempo perso,
appuntamenti saltati, organizzazione sconvolta.
La coincidenza Padova–Vicenza persa in partenza
Il nodo centrale della giornata è questo: la coincidenza
Padova–Vicenza. Una coincidenza pianificata, prevista, voluta. Il ritardo del
9406 la spazza via.
Quando finalmente si arriva a Padova, la realtà è semplice e
brutale: il treno per Vicenza è già andato, la coincidenza non esiste più.
Nessuno ti aspetta, nessuno ti tutela davvero in modo proattivo. Devi
ricominciare da capo:
- cercare
un nuovo treno,
- aspettare
ancora in stazione,
- aggiungere
altro ritardo a quello già accumulato.
Alla fine il conto si fa presto: oltre due ore di ritardo
complessivo rispetto all’orario previsto di arrivo. Due ore che, nella vita
reale delle persone, non sono un dettaglio:
- due
ore in meno con la famiglia,
- due
ore di lavoro perse,
- due
ore di appuntamenti saltati, scadenze mancate, impegni disdetti.
In un Paese civile non dovrebbe essere normale
Ogni tanto qualcuno prova a minimizzare: “Sono solo ritardi,
succede”. No. Non è così semplice. Il problema non è l’episodio isolato, ma la
sensazione che tutto questo sia diventato la regola.
In un Paese civile, un treno che arriva con 90 minuti di
ritardo e un passeggero che perde la coincidenza non sono una “sfortunata
casualità”:
- scattano
procedure chiare,
- c’è
assistenza reale in stazione,
- c’è
qualcuno che ti informa in modo trasparente,
- c’è
un sistema che mette al centro il passeggero e non il tabellone degli
orari.
In Italia, sempre più spesso, il messaggio è: “Prendi il
prossimo treno e non lamentarti troppo”. E se ti lamenti, ti dicono che “sono
cose che capitano”.
No, non dovrebbero capitare così spesso. E soprattutto non
dovrebbe essere il cittadino a dover rincorrere i propri diritti.
Diritti dei passeggeri: sulla carta è tutto bello, nella
pratica devi combattere
Sulla carta i diritti dei passeggeri esistono:
- indennizzi
in caso di ritardi significativi,
- possibilità
di chiedere rimborso o compensazione,
- tutele
previste dai regolamenti europei e dalle condizioni di trasporto della
stessa Trenitalia.
Nella pratica, però, c’è sempre un “ma”:
- devi
sapere che hai diritto a un indennizzo;
- devi
ricordarti di fare la richiesta nei tempi previsti;
- devi
barcamenarti tra modulistica, area clienti, richieste online;
- e
spesso, se non insisti, nessuno ti viene a cercare per dirti: “Guardi che
le spetta qualcosa”.
Il risultato è che tanti passeggeri, dopo una giornata
massacrante fatta di ritardi e coincidenze perse, rinunciano anche solo a
chiedere ciò che spetta loro. Sono stanchi, frustrati, vogliono solo arrivare a
destinazione e dimenticare.
Ed è esattamente qui che il sistema vince: il disagio resta
sulle spalle dei viaggiatori, mentre tutto il resto scivola via come se nulla
fosse.
Non è solo un mio problema: è un modello che scarica
tutto sul passeggero
La mia odissea di oggi con il treno 9406 non è “la sfortuna
di un singolo”:
- è la
fotografia di un sistema che non considera il tempo delle persone come un
valore;
- è la
dimostrazione di come coincidenze, collegamenti e organizzazione vengano
venduti come un “servizio puntuale”, ma poi spesso non reggano alla prova
dei fatti;
- è
l’ennesimo segnale che troppo spesso chi viaggia in treno in Italia deve
mettere in conto un margine extra di caos, come fosse fisiologico.
In un Paese civile, il tempo dei cittadini varrebbe
qualcosa. In Italia, quando parliamo di trasporti, sembra ancora troppo spesso
una variabile sacrificabile.
Cosa fare dopo un ritardo così
Dopo una giornata del genere, almeno una cosa va fatta: non
lasciar correre.
- Segnalare
il disservizio a Trenitalia.
- Chiedere
formalmente l’indennizzo previsto per il ritardo.
- Se
necessario, rivolgersi a un’associazione di consumatori per farsi aiutare
a far valere i propri diritti.
Perché il punto è semplice: se ogni volta che subiamo un
disservizio ci rassegniamo, il messaggio che mandiamo è che va bene così. E non
va bene così.
Conclusione: normalizzare il caos non è un destino
Il treno 9406, i 90 minuti di ritardo, la coincidenza
Padova–Vicenza persa e le oltre due ore di ritardo finale non sono solo una
cronaca di viaggio: sono la misura di quanto abbiamo abbassato l’asticella di
ciò che consideriamo “accettabile”.
In un Paese civile queste cose non dovrebbero accadere, o
quantomeno dovrebbero restare casi eccezionali, con tutele forti e immediate
per chi li subisce.
In Italia, invece, rischiano di essere archiviati come “la solita storia”.
Ecco, oggi la “solita storia” l’ho vissuta sulla mia pelle. E sinceramente, di questa normalità non ne posso più.