Caso Fanizza al Garante Privacy: perché i consumatori devono preoccuparsi
21 novembre 2025
La vicenda che ha travolto il Garante per la protezione dei dati personali non è una “questione interna” tra dirigenti e dipendenti. È qualcosa che riguarda direttamente tutti noi: cittadini, lavoratori, consumatori.
L’Autorità che da anni bacchetta aziende e pubbliche amministrazioni per
controlli invasivi sui dipendenti è finita al centro di un caso che ha al
centro proprio… una richiesta di sorveglianza interna massiva.
Come associazione di consumatori, non possiamo far finta di
niente.
Che cosa è successo: la richiesta “impossibile” del
segretario generale
Secondo quanto emerso, l’ex segretario generale del Garante,
Angelo Fanizza, ha inviato una comunicazione interna al responsabile dei
sistemi informativi, Cosimo Comella, chiedendo una raccolta straordinaria di
dati su anni di attività informatica del personale dell’Autorità.
Nel dettaglio, la richiesta riguardava:
- posta
elettronica;
- accessi
VPN;
- accessi
a cartelle condivise;
- sistemi
documentali;
- sistemi
di sicurezza informatica;
- verifica
di eventuali sovrascritture dei log.
L’obiettivo dichiarato: individuare le “talpe” che avrebbero
fatto filtrare all’esterno comunicazioni interne del Garante, finite poi in
alcune inchieste giornalistiche televisive e di stampa.
Il punto è che, per come era formulata, la richiesta avrebbe
comportato:
- l’accesso
a fino a 20 anni di email e attività informatica del personale (dal
2001 in poi);
- la
creazione di una gigantesca copia dei dati, stimata nell’ordine di circa
100 terabyte;
- un
lavoro tecnico enorme, calcolato in migliaia di ore-uomo.
Tutto questo senza una richiesta dell’autorità
giudiziaria e senza un chiaro perimetro di indagine.
Il “no” del dirigente IT: rischio di violazione della
privacy dei lavoratori
Di fronte a questa pretesa, il responsabile dei sistemi
informativi del Garante, Cosimo Comella, ha risposto nero su bianco che non
poteva dare corso all’ordine.
Le motivazioni – che come associazione condividiamo in pieno
– sono essenzialmente tre:
- Indeterminatezza:
la richiesta non specificava in modo chiaro ambito, periodo e categorie
puntuali di dati. Sembrava più una “pesca a strascico” che un accesso
mirato.
- Profili
di illiceità: raccogliere e analizzare in blocco tutti i dati delle
caselle, degli accessi e dei log, senza provvedimenti giudiziari e senza
adeguata informativa ai lavoratori, rischia di violare:
- la
libertà e segretezza della corrispondenza tutelata dalla Costituzione;
- le
norme sulla protezione dei dati personali;
- le
norme a tutela dei lavoratori.
- Contraddizione
con le regole del Garante stesso: l’Autorità ha adottato di recente un
provvedimento (n. 3642 del giugno 2024) che impone ai datori di lavoro di minimizzare
la raccolta di dati e metadati relativi all’uso degli strumenti
informatici, limitando la conservazione dei log a 21 giorni, salvo
accordi sindacali diversi.
In pratica: ciò che l’ex segretario generale chiedeva al
personale IT sarebbe stato in contrasto con la stessa linea interpretativa e
regolatoria del Garante, che più volte ha sanzionato aziende e PA per
controlli invasivi sui dipendenti.
Se un’azienda privata avesse fatto una cosa del genere, è
verosimile che proprio il Garante avrebbe aperto un’istruttoria e, se del caso,
sanzionato il comportamento.
Terremoto interno e dimissioni di Fanizza
La risposta negativa di Comella non ha spento il caso, anzi.
Quando l’assemblea del personale dell’Autorità ha incontrato il collegio del
Garante (presieduto da Pasquale Stanzione), la vicenda è esplosa pubblicamente.
I lavoratori hanno chiesto l’azzeramento dei vertici.
Il risultato:
- il
segretario generale Angelo Fanizza si è dimesso dopo pochi mesi dalla
nomina;
- il
collegio del Garante ha diffuso un comunicato in cui:
- prende
le distanze dalla comunicazione di Fanizza;
- sostiene
di non aver mai dato seguito a quella richiesta di dati;
- ribadisce
che, secondo la propria giurisprudenza, l’accesso indiscriminato ai dati
informatici dei dipendenti può costituire violazione della privacy;
- per
marcare una “discontinuità”, è stato nominato un nuovo segretario
generale, Luigi Montuori, dirigente storico dell’Autorità sin dalla sua
fondazione.
Il presidente Stanzione, invece, ha dichiarato pubblicamente
che il collegio non si dimetterà, rivendicando la piena indipendenza
delle decisioni assunte dall’Autorità. LaPresse News+1
Perché questo caso è gravissimo per i consumatori
Dal nostro punto di vista, ci sono almeno quattro profili
critici:
- Credibilità
dell’Autorità
Il Garante per la protezione dei dati personali è un’autorità amministrativa indipendente incaricata di vigilare sull’applicazione del GDPR e del Codice Privacy in Italia. Wikipedia+1
Se al suo interno emergono tentativi di sorveglianza massiva sul personale, la prima cosa che si incrina è la fiducia dei cittadini. - Doppio
standard sui controlli ai lavoratori
Da anni il Garante stabilisce limiti rigidi su: - email
aziendali;
- log
di accesso;
- strumenti
di lavoro.
Se chi scrive le regole rischia di non rispettarle in casa propria, il messaggio per imprese e PA è devastante: “le norme valgono finché non danno fastidio”. - Rischio
di effetto “anti-whistleblower”
Se la reazione alle fughe di notizie è tentare di passare al setaccio tutta l’attività digitale dei lavoratori, il segnale è chiaro: chi segnala criticità o abusi rischia di finire nel mirino. Ma senza whistleblower, spesso i casi di violazione dei diritti restano sepolti. - Paralisi
di un presidio fondamentale in piena era digitale
Il caso esplode mentre il quadro normativo sui dati personali è in piena evoluzione (modifiche al GDPR, nuove regole su AI e piattaforme digitali). Un’Autorità sotto assedio e in crisi interna rischia di non poter svolgere con forza il suo ruolo di controllo.
Casi analoghi all’estero: cosa succede quando
l’indipendenza vacilla
Purtroppo non è la prima volta che le autorità di protezione
dati o organismi analoghi finiscono nel mirino per problemi di indipendenza
o per scelte controverse.
Qualche esempio utile:
- Belgio
– dimissioni per mancanza di indipendenza
In Belgio, una direttrice dell’Autorità per la protezione dei dati (DPA) si è dimessa pubblicamente in segno di protesta, denunciando la mancanza di indipendenza dell’ente e sollevando il tema di possibili interferenze politiche. telecompaper.com+1 - Stati
Uniti – Privacy and Civil Liberties Oversight Board (PCLOB)
Negli USA, la Casa Bianca ha chiesto le dimissioni dei membri democratici del board che vigila sulle libertà civili e la privacy nei programmi di sicurezza nazionale. In passato, uno dei membri (Lanny Davis) si era già dimesso in polemica, denunciando il fatto che l’organismo fosse di fatto un’appendice dell’Esecutivo, privo di reale indipendenza. Axios+1 - Regno
Unito – avvertimento dell’Information Commissioner uscente
L’uscente Information Commissioner (l’equivalente del Garante britannico) ha lanciato un avvertimento pubblico contro le proposte di riforma che avrebbero rafforzato il controllo del governo sulle attività dell’ICO, sottolineando che l’indipendenza del regolatore è una condizione minima per proteggere i diritti dei cittadini. The Register
Questi casi mostrano un pattern chiaro:
quando l’indipendenza o la coerenza interna delle authority viene percepita
come compromessa, le reazioni possono andare dalle dimissioni di dirigenti
a dichiarazioni molto dure in difesa dell’autonomia istituzionale.
Nel caso italiano, al momento:
- si è
dimesso il segretario generale coinvolto nella richiesta di sorveglianza;
- il
collegio rivendica la propria estraneità e la volontà di non dimettersi.
Ma la questione, per i cittadini, resta aperta: chi
controlla il controllore?
Cosa chiediamo come associazione di consumatori
Per tutelare davvero i diritti alla privacy di cittadini e
lavoratori, secondo noi servono alcune mosse precise:
- Massima
trasparenza sulla vicenda
Pubblicazione – nei limiti della legge – degli atti principali, dei pareri legali interni e dei passaggi che hanno portato alle dimissioni dell’ex segretario generale. - Chiarimento
pubblico sulle regole interne di controllo
L’Autorità deve spiegare: - se
esistono policy interne sui monitoraggi degli strumenti di lavoro del
personale;
- come
sono state finora applicate;
- come
intende adeguarle in coerenza con i propri stessi provvedimenti.
- Garanzie
per chi segnala irregolarità (whistleblowing)
È essenziale che chi lavora all’interno del Garante possa segnalare criticità senza temere ritorsioni o controlli a tappeto sui propri strumenti di lavoro. - Verifica
esterna dell’indipendenza dell’Autorità
Parlamento e istituzioni competenti dovrebbero valutare se l’attuale assetto garantisce davvero l’indipendenza richiesta dal GDPR alle autorità di controllo nazionali. - Rafforzare
la fiducia dei cittadini
Serve un impegno pubblico chiaro: nessun cittadino sarà mai sottoposto a forme di sorveglianza ingiustificata da parte di chi dovrebbe difendere i suoi diritti.
La privacy non è un dettaglio tecnico
La privacy non è un dettaglio burocratico né un tecnicismo
informatico: è un diritto fondamentale che tocca lavoro, salute, vita
digitale, relazioni, finanza personale.
Quando l’Autorità chiamata a difendere questo diritto mostra
crepe al suo interno, i consumatori hanno tutto il diritto di pretendere:
- chiarezza,
- responsabilità,
- coerenza
tra ciò che si chiede agli altri e ciò che si fa in casa propria.
Come associazione di consumatori continueremo a vigilare su
questa vicenda e a raccogliere segnalazioni di cittadini e lavoratori che
ritengano di aver subito violazioni della propria privacy, da parte di imprese,
PA o chiunque tratti i loro dati in modo scorretto.