Il futuro dell’auto: motore termico vs elettrico, una sfida industriale
14 luglio 2025

uesto articolo nasce con l’intento di valutare il possibile futuro dell’auto dal punto di vista economico e industriale. Liberi da qualsiasi ideologia e senza prendere in considerazione fattori ecologici e cambiamenti climatici. Il futuro dell’auto dal punto di vista industriale.
L’industria automobilistica sta vivendo la più grande
trasformazione dai tempi di Henry Ford. Ma al di là delle questioni ambientali,
che occupano spesso le prime pagine, il vero terreno di scontro tra motore
termico ed elettrico è industriale.
Il futuro? È già scritto nei piani industriali
Tesla, Stellantis, Volkswagen, BYD, Hyundai... tutti
investono miliardi sull’elettrico. E chi comanda l’industria decide il mercato.
Le case auto non scommettono più sul termico. E quando l’industria cambia
direzione, non torna mai indietro.
Eppure, nonostante tutto, il caro vecchio motore a
combustione è ancora ovunque. E non a caso.
È affidabile, costa meno all’acquisto, si ripara facilmente, e puoi rifornirti
ovunque – dal Brennero a Pachino.
Il vero bivio? Non è tra benzina e elettrico… ma tra chi
si adatta e chi no
La sfida non è tanto tra due tecnologie. È una questione
industriale e strategica.
I big dell’auto hanno fatto la loro scelta. Stellantis, Volkswagen, Renault,
Tesla, persino Toyota (che fino a ieri frenava) stanno andando dritti
sull’elettrico.
Perché? Perché il mercato si sta spostando lì. Perché i margini crescono. E
perché il software – vera gallina dalle uova d’oro – gira meglio quando tutto è
elettrico.
Il termico non sparirà da un giorno all’altro.
Ci sarà ancora per anni nei concessionari dell’usato, nei paesi in via di
sviluppo, tra gli appassionati e nei 4x4 che si arrampicano sulle Dolomiti. Ma
sarà sempre più di nicchia.
Come le pellicole fotografiche, i telefoni a rotella o i vinili: affascinanti,
ma fuori dalla catena di produzione di massa.
Inoltre, c’è un mercato dell’usato enorme che
continua a girare attorno al termico.
Soprattutto per chi ha bisogno di una seconda macchina, o non ha budget da
Tesla, l’auto a benzina resta la scelta più razionale.
Ma qui arriva il punto dolente: il termico ha i giorni
contati.
L’Europa ha già detto che dal 2035 non si potranno più vendere nuove auto a
benzina o diesel. Qualche eccezione ci sarà (forse i carburanti sintetici,
forse i veicoli speciali), ma la direzione è chiara: è la fine di un’era.
Chi produrrà cosa, dove, a che prezzo e con quali margini?
1. Differenze nella catena di produzione
Motore termico: complessità e filiera consolidata
Il motore a combustione interna è una macchina altamente
complessa, con centinaia di componenti meccanici: pistoni, valvole, alberi
a camme, impianti di scarico, raffreddamento, trasmissioni complesse.
Questo ha generato nel tempo una filiera industriale altamente frammentata,
con migliaia di fornitori e un indotto capillare.
Stima: circa 1.400 aziende possono essere coinvolte nella produzione di
un’auto termica.
Motore elettrico: semplicità
strutturale
Un’auto elettrica ha un motore più semplice, con meno
componenti e meno parti soggette a usura.
Si parla spesso di “un decimo dei pezzi” rispetto a un termico.
Questo comporta:
- Meno
necessità di manutenzione
- Minore
dipendenza da officine meccaniche
- Un
drastico cambiamento nella catena di fornitura
Industria a rischio?
Molte aziende legate a componenti “meccanici classici” (alberi motore,
serbatoi, cambi manuali) vedranno il loro mercato ridursi o sparire.
2. Impatti occupazionali e geoeconomia
L'Europa (e
l’Italia) rischiano grosso
Gran parte dell’industria europea è stata costruita attorno
al motore termico.
L’Italia, in particolare, ha un indotto ricco ma fragile, fatto di PMI legate
alla componentistica.
Con il passaggio all’elettrico:
- Molte
di queste aziende non hanno né le competenze né le risorse per
riconvertirsi in tempo.
- Il
rischio è una desertificazione industriale in alcune aree.
Cina:
vantaggio strategico sull’elettrico
La Cina è partita in ritardo sul termico ma ha preso il
largo sull’elettrico:
- Domina
la produzione di batterie (oltre il 70% del mercato globale)
- Controlla
le materie prime critiche (litio, cobalto, grafite)
- Ha
sviluppato campioni nazionali come BYD, CATL, Nio
Stati Uniti:
scommessa doppia
Gli USA stanno giocando su due tavoli:
- Tesla
ha fatto scuola, ma anche GM e Ford stanno investendo miliardi in EV.
- Parallelamente,
c'è una forte lobby pro-termico in stati legati all’industria
petrolifera.
3. Costi di produzione e margini industriali
Motori termici: costi alti ma prevedibili
La produzione è costosa, ma ottimizzata da decenni. Il
know-how è consolidato e l’ecosistema industriale maturo.
Tuttavia, la marginalità è in calo da anni, a causa di concorrenza e normative
stringenti.
Motori elettrici:
investimenti iniziali altissimi
Richiedono fabbriche nuove (le famose gigafactory),
know-how diverso e una riconversione delle linee produttive.
Le batterie pesano ancora per il 35-45% del costo totale dell’auto.
Ma i costi sono in forte calo: secondo BloombergNEF, entro il 2027 un’auto
elettrica costerà quanto una termica a parità di segmento.
4. Know-how: chi perde e chi guadagna
- I motoristi
tradizionali (es. Bosch, Magneti Marelli, ZF) rischiano il colpo.
- I
produttori di software, elettronica e batterie sono i nuovi re: chip,
inverter, power electronics valgono sempre di più.
- Chi
ha un background in meccatronica e robotica avrà un futuro brillante.
Tesla, ad esempio, guadagna più dalla vendita di software che di auto.
5. Previsioni industriali (2025–2035)
Anno |
% Auto Elettriche vendute (mondo) |
Tendenza industriale |
2025 |
~20% |
Ancora coesistenza,
elettrico cresce nei SUV |
2030 |
~45–50% |
Dominanza nei
segmenti urbani, termico in calo |
2035 |
~70–80% (Europa) |
Il termico sopravvive
solo in nicchie (auto sportive, 4x4 pesanti) |
Nota: questi numeri sono indicativi e dipendono da
politiche industriali, costi delle materie prime e innovazione nelle batterie.
Che fine farà l’industria automobilistica europea? E la
filiera italiana?
Spoiler: se non cambia passo in fretta, rischia grosso.
Non stiamo parlando di "evoluzione", ma di rivoluzione industriale
vera e propria. E l’Europa, con tutta la sua tradizione, potrebbe trovarsi
tagliata fuori.
L’Europa: da
locomotiva mondiale a rincorsa affannosa?
Per decenni, l’industria auto europea è stata leader
mondiale: Mercedes, BMW, Volkswagen, Renault, Peugeot, Fiat... nomi che
hanno fatto la storia.
Ma oggi siamo di fronte a un problema serio:
le nuove regole del gioco – elettrico, software, batterie – non sono state
scritte da noi.
I punti critici:
- Batterie:
quasi tutta la produzione è in mano cinese (CATL, BYD). L’Europa dipende
dalle importazioni.
- Materie
prime: litio, cobalto, nichel... chi le controlla? Ancora una volta: Cina
e, in parte, Africa e Sud America.
- Software
e guida autonoma: i leader sono Tesla, Google, Apple, Nvidia. L’Europa
arranca.
- Investimenti
pubblici: USA (con l’Inflation Reduction Act) e Cina stanno pompando
miliardi. L’UE? Molto meno incisiva e frammentata.
Risultato? Siamo in ritardo. E il rischio è che le
auto del futuro vengano progettate altrove, e qui si assemblino “a cottimo”.
L’Italia: un
indotto che rischia di scomparire
Ora parliamoci chiaro: il motore termico è l’Italia
dell’auto.
Siamo maestri di componenti meccanici, cambi, turbine,
lavorazioni metalliche. Tutto quel know-how costruito in 70 anni di industria… potrebbe
diventare inutile in pochi anni.
I numeri da brividi:
- Oltre
2.000 aziende lavorano nell’indotto auto in Italia
- Circa
250.000 posti di lavoro sono direttamente o indirettamente legati
al settore
- La maggior
parte delle PMI italiane non ha risorse per riconvertirsi da sola
- L’effetto
domino: meno produzione ? meno manutenzione ? meno lavoro anche per
meccanici, ricambisti, trasportatori
In pratica: il rischio di desertificazione industriale è
reale, soprattutto in regioni come Piemonte, Emilia, Lombardia.
Cosa potrebbe salvarci?
1. Gigafactory italiane (su cui siamo in ritardo)
Serve una produzione di batterie nazionale. Qualcosa si
muove (come Italvolt, o ACC con Stellantis), ma i progetti sono ancora troppo
lenti e frammentati.
2. Formazione e riconversione
Molti operai specializzati in componentistica termica devono
essere formati su elettronica, batterie, software. Serve un piano
nazionale, come fu con la cassa integrazione negli anni ‘80.
3. Politiche industriali coraggiose
Bonus auto non bastano. Servono investimenti mirati:
ricerca, startup automotive, agevolazioni per le PMI che innovano.
4. Nuovi campi da presidiare
Mobilità urbana, auto leggere, microcar elettriche, veicoli
commerciali green, retrofit elettrici. L’Italia potrebbe diventare leader in
nicchie ad alta qualità.
E se non si fa nulla?
Se ci limitiamo a difendere l’esistente, il futuro è
scritto:
- L’Italia
diventa un paese di assemblaggio, non di progettazione.
- Le
aziende dell’indotto chiudono o vengono comprate da gruppi stranieri.
- Le
decisioni strategiche sull’auto si prendono a Pechino, San Francisco o
Berlino, non a Torino o Modena.
Il futuro dell’auto non sarà una guerra tra ideologie, ma una partita industriale.
Chi riuscirà a riconvertire la propria filiera velocemente, senza
perdere competenze e posti di lavoro, sarà vincente.
Il rischio per l’Europa – e l’Italia in particolare – è rimanere fanalino di
coda, mentre Cina e USA si giocano il controllo dell’auto del futuro.
L’elettrico non è solo una questione di presa e batteria: è la nuova meccanica. Chi lo capisce in tempo, resta in corsa. Gli altri? Semplicemente, si fermano.
