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COME VALUTARE MATEMATICAMENTE LA POLITICA PRODOTTA DALLA PARTITOCRAZIA ITALIANA.

27 settembre 2013

Associazione Consumatori

Studio di una metodologia applicativa per la valutazione scientifica e metodologia dei risultati delle politiche sociali ed economiche prodotte dalla partitocrazia italiana.

 

Due numeri sono, provocatoriamente, lo specchio dello stato della partitocrazia italiana. Quattrocentosessanta e Quaranta. E ancora trecentoottantadue e cinquantadue.  460 sono i chilometri della Metropolitana di Londra (nemmeno la più estesa considerando i 537 di Seul) e 382 sono le fermate   che si rapportano ai 40 chilometri di quelli di Roma e conta 52 fermate. I numeri sono implacabili. Roma ha prodotto 1 decimo di Londra.  

Ovviamente questa è una provocazione. Si possono però prendere anche altri numeri che sono (forse) ancora più devastanti.

In Italia meno di due lavoratori dipendenti su 10 (nel settore privato) sono laureati, contro una media europea di 3 e punte di 4 su 10 in Gran Bretagna e Spagna.

E tra i lavoratori italiani dotati di laurea, molti svolgono attivita' che richiedono competenze minori: un fenomeno questo in forte aumento negli ultimi anni. E' quanto emerge dal Rapporto Unioncamere 2013.

Ovviamente cotanto risultato produce, a sua volta, ulteriori risultati poco edificanti.  L’Italia è quartultima per quanto riguarda l’abbandono scolastico, subito dopo il Portogallo, ma i giovani tra i 18 e i 20 anni che hanno abbandonato prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione nel 2012 sono scesi di 29mila unità rispetto al 2011: nel 2012 sono stati 758 mila. (fonte MIUR)

D’altra parte il nostro Paese è in ultima posizione per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2% della media Ue a 27) e penultima, seguita solo dalla Grecia, per quella nell'Istruzione (8,5% sul 10,9% di media). E solo il 21% delle scuole permette un accesso internet ai propri alunni.

L’indice di deindustrializzazione italiano è poi un dato allarmante. L'indice della produzione industriale italiana, è scritto nel documento, «ha perso 20 punti percentuali dal 2007». A pesare, nel caso italiano ma non solo, gli «alti costi dell'energia», la burocrazia, la «scarsa spesa in ricerca e innovazione» e gli annosi «problemi di accesso al credito».

La competitività dell'Italia sul costo del lavoro «si è erosa in modo considerevole negli ultimi 10 anni», e anche la sua produttività - con Francia, Finlandia e Lussemburgo - è peggiorata. Dal rapporto emerge invece il miglioramento in questo campo della Spagna, che entra a far parte del gruppo dei paesi dell'Unione europea più virtuosi, malgrado l’elevata disoccupazione giovanile. Persino la Grecia, messa in ginocchio dalla crisi, ha riscontrato un miglioramento in termini di produttività.

Insomma un elenco (che potrebbe in breve e facilmente essere integrato) che evidenzia lo stato di abbondano di questo paese da parte della intera partitocrazia. Decenni senza una partitocrazia in grado di produrre politiche di sviluppo per il Paese ma impegnati esclusivamente o per interesse puramente personalistici o per interessi di vere e proprie lobbies di potere

Questi numeri sono implacabili. L’Italia è il fanalino di coda di un Europa che a fatica ricomincia a muoversi.  Ma nel frattempo il Bel Paese ha distrutto il poco che aveva. L’industria tessile, il manifatturiero il polo industriale dell’Est. I grandi marchi della moda sono stati acquisiti da gruppi industriali esteri e la stessa fine rischia anche Telecom.

La rivoluzione industriale fu possibile grazie alla rete di comunicazione ferroviaria (o successivamente stradale) . Non a caso il sud italiano versa in condizioni industriali arretrate e le condizioni di comunicazioni stradali  sono arretrate, latenti e inefficienti. Grande importanza di sviluppo oggi, non solo la rete stradale e ferroviaria  ma anche la rete di telecomunicazioni. La vendita di asset di telecomunicazioni e il mancato sviluppo di rete e infrastrutture di movimento merci interno fanno si che l’Italia sia un paese industrialmente ed economicamente arretrato.

Il nostro paese di fatto non è paese strategicamente adatto alla produzione manufatturiero. La forza lavoro costa troppo e al tempo stesso  non è paese in grado di puntare sull’innovazione e lo sviluppo. Non siamo né carne né pesce.

Le somme si fanno presto. La colpa è della partitocrazia. Centro destra e Centro Sinistra si sono divisi gli ultimi ventanni di governi che non hanno prodotto (quando è andata bene) e spesso hanno distrutto il poco che c’era.

Il metro di valutazione è dunque 460 e 40. Se la politica di un paese europeo vale 400 la politica del Paese Italia vale 40.

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