19 Marzo. Festa
del papà. Per molti un’occasione per festeggiare assieme a moglie e figli. Per
altri, molti, un giorno amaro che mette ancora più in risalto la loro
difficoltà e precarietà. Secondo la
Cgia di Mestre infatti la figura del padre in Italia, come
quella della maternità del resto, è entrata in profonda crisi, colpa anche
dell’incertezza economica, della precarietà e di una visione individualista,
nichilista della nostra società che mette alla berlina il valore e il ruolo
della paternità. Nel 2012,
in questo nostro strano assurdo Bel Paese, i maschi
quarantenni precari o con stipendi da 1.200 euro al mese sono oltre 200 mila,
circa il 12% del totale degli occupati maschili e molti con figli a carico, tanti
separati e in situazione di estremo bisogno. Per loro non c’è proprio nulla da
festeggiare, anzi parlare di Festa del Papà ha quasi il sapore di una beffa.
Per loro la condizione naturale è quella di condurre ogni giorno una lotta
impari contro le pressioni di una realtà ostile, di una società, quella
italiana che, a parole, afferma e garantisce il valore della famiglia e la tutela
dei più bisognosi, ma che, nei fatti e contrariamente a quanto si realizza nel
resto d’Europa, smantella lo Stato Sociale e nega i diritti più elementari,
quelli per intenderci sanciti a chiare lettere nella nostra Costituzione.
Aumenta dunque l’indebitamento dei padri separati, la povertà (sono in tanti
che sono costretti a ritornare a vivere dai genitori o peggio in auto o per
strada), la disperazione per chi è costretto a sostenere e gestire non solo un
fallimento umano, emotivo e personale, ma anche quello economico e lavorativo.
In tal senso, stanno sorgendo come funghi gli sportelli di soccorso per padri
separati, le associazioni di sostegno e di recupero psicologico per uomini soli
che non riescono più a far fronte all’enorme mole di obblighi, di impegni e di
necessità che la nostra vita frenetica e priva di scrupoli ci impone. Merita
una riflessione a parte poi la condizione di quei quarantenni, invisibili alle
statistiche e alla lente dei sociologi, che vorrebbero costruirsi un futuro,
una famiglia, una propria realizzazione umana e affettiva, ma non possono
perché schiacciati non solo dalla precarietà, ma anche da un ricambio
generazionale paralizzato (siamo la
Nazione che ha più anziani nei ruoli dirigenziali o comunque
più remunerativi in tutti i campi, persino in quello artistico ed espressivo) e
da una folle staticità della scala mobile sociale, colpa anche di riforme del
lavoro scriteriate e orientate per lo più alla conservazione dello Status Quo
imperante. In Italia purtroppo imperano ancora lobby, corporazioni e gruppi di
potere con la complicità del sistema sindacale attuale che farebbero invidia
persino al sistema delle caste indù, impedendo di fatto ogni possibilità di
crescita per questo nostro paese. Lo dimostra in maniera lampante che l’Italia
è ultima in tutti i settori produttivi, di ricerca e creativi e persino nazioni
più arretrate ci superano di gran lunga. Chi è figlio di operai o di quella
che, una volta, si chiamava micro-borghesia, è condannato quasi sempre a
restare nella sua classe di appartenenza, mentre chi ha una condizione migliore
ha di certo migliori possibilità di progredire e di affermarsi. Questo
sconsolante panorama di padri poveri, di uomini ancora precari a quarant’anni,
di giovani condannati a restare incatenati alla loro condizione di partenza
contrapposto ad un clan di fortunati, furbi e avvantaggiati rende manifesto
quanto ormai abbia poco senso festeggiare una Festa del Papà e sottolinea
l’urgenza di una vera rivoluzione che vada a scardinare un modo di pensare
vecchio, classista e superato imposto in Italia da un gruppo politico,
manageriale e dirigenziale italiano incapace di dare risposte e soluzioni
convincenti a chi affronta la durezza della vita ogni giorno.
A cura di Alessandro Spadoni