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I DUBBI DELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE DI CONSUMATORI A SEGUITO DELLA SENTENZA “SBLOCCA PENSIONI”

16 giugno 2015

Associazione Consumatori
Roma - 16 giugno 2015  A seguito della minaccia di milioni di ricorsi di pensionati per l’adeguamento delle proprie pensioni, il governo, dal suo canto, ha già dichiarato che “il bilancio dello Stato non è in grado di sostenere la botta di una restituzione dei mancati aumenti a tutti i pensionati che ne avrebbero diritto”. Da ciò la creazione degli scaglioni previsti dal Decreto Legge.

A tal punto quello che noi ci chiediamo è: il tentativo di attuazione del principio di proporzionalità e progressività eseguito dal Governo con il decreto legge n. 65/2015, riuscirà a fronteggiare la grande quantità di ricorsi che stanno per essere presentati o l’emergenza della crisi finanziaria e il conseguente debito pubblico riusciranno ancora una volta a prevalere ed essere utilizzati dal Governo come scudo per giustificare l’intervento?

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 70/2015 ha preso in considerazione il comma 24 dell’art. 25 del d.l. 201 del 2011 e la violazione che esso comporta agli articoli 36 e 38 della Costituzione. L’art. 36 stabilisce il diritto del lavoratore ad avere una adeguata retribuzione, l'articolo 38 sancisce il diritto per il cittadino ad avere adeguati mezzi di sussistenza in caso di vecchiaia.

Secondo la Corte, l’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto costituzionalmente fondato risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio.

La Cassazione, nel sancire il legame tra il dettato degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., afferma che Il legislatore dovrebbe proporre un corretto bilanciamento, ogniqualvolta si profili l’esigenza di un risparmio di spesa. Tuttavia la disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell’art. 25 del d.l. 201 del 2011 si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi. Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), secondo la Corte, non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall’art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica».

Dal nostro punto di vista la linea della Cassazione, pertanto, sembra essere quella della bocciatura della disposizione non in toto, bensì solo delle modalità di attuazione della stessa: secondo la Corte la norma in esame non prevede alcun criterio di progressività e di proporzionalità in riferimento al rapporto tra le fasce pensionistiche e il trattamento minimo, a differenza della legislazione precedente. Inoltre la Corte censura la genericità delle motivazioni finanziarie dell’intervento legislativo che sacrifica l’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, a causa di un non meglio precisato vincolo di scopo.

Guardando la controversia in quest’ottica, se il blocco delle pensioni del 2012 fosse stato attuato soltanto per gli assegni più elevati e non per quelli di appena 1.400 euro al mese, forse non vi sarebbe stata l'incostituzionalità.

Il nostro timore, pertanto, è che il Decreto Legge n. 65 del 2015, con cui il Governo è intervenuto a seguito della sentenza della Cassazione ( secondo cui il grosso dei rimborsi andrà soltanto a chi si trova nelle fasce di reddito più basse e man mano che aumenta l'importo della pensione, la cifra pagata si ridurrà progressivamente fino ad annullarsi del tutto quando l'assegno Inps percepito supera appunto il tetto dei 3.200 euro lordi), possa essere visto come una disposizione correttiva del sistema, un tentativo di andare ad applicare un criterio attuativo della sentenza, basato su criteri di selettività, gradualità, temporaneità a cui essa si è appellata per dichiarare l’incostituzionalità della disposizione in esame; un intervento orientato a realizzare il principio della perequazione in una forma coordinata con le esigenze di equilibrio dei conti pubblici.

Intanto migliaia di pensionati stanno investendo risorse e speranze per vedere riconosciuto il proprio diritto ad una prestazione previdenziale adeguata. 

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